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martedì 29 ottobre 2013

La tradizione di andare a mangiare la ricotta calda nelle masserie di campagna




In qualche altro post precedente (precisamente qui) ho accennato ad una consuetudine propria della zona del ragusano, dove risiedo ormai da tre anni. Si tratta di una tradizione che sopravvive ancora in questa specifica zona della Sicilia.....e affonda le sue radici lontano nel tempo...
una tradizione cara agli abitanti di tale provincia, e anche a me, in quanto apprezzo profondamente la preparazione di cibi secondo rituali antichi, risalenti a un periodo in cui l'alimentazione era decisamente più semplice ma molto più genuina...
nelle masserie di campagna  è consuetudine la preparazione della ricotta calda..e, spesso su prenotazione, un gruppo di persone si reca in questi luoghi per consumarla.....giorni fa ho cenato in una masseria e, per la prima volta, ho assistito (in diretta) alla preparazione della ricotta, che abbiamo consumato subito, calda calda con tutto il siero. Ho potuto scattare una serie di foto che rendono un pò l'idea di tale procedimento, e cercherò, abbastanza in generale, di documentare le diverse fasi che precedono la  la preparazione della ricotta vera e propria e quelle più specifiche legate prettamente alla realizzazione di quest'ultima....


  
1) Fasi che precedono la preparazione della ricotta
 Il latte appena munto, quindi freschissimo, viene deposto dal massaro in un contenitore di legno all'interno del quale, viene aggiunto anche il caglio (si tratta di una parte del budello di animali da latte quali vitelli, agnelli, capretti contenente un residuo dello stesso latte, che viene poi fatto essiccare per alcuni mesi).
Il massaro mescola il tutto e lascia riposare il composto per circa 1 ora.
Trascorso il tempo si verrà a creare una sostanza detta cagliata, che verrà rotta mescolando con un bastone di legno.
A questo punto si aggiunge una parte di acqua bollente e si fa riposare il composto.
Ciò che si otterrà, in seguito a questa operazione, sarà la formazione della tuma (cioè la parte che si è coagulata), la quale si separerà dal siero.
La prima viene posta nel modo che vedete nelle foto sottostanti.
La tuma è il formaggio non lavorato, allo stadio primitivo..da questo poi, attraverso fasi successive si creeranno i formaggi.



(purtroppo quando sono arrivata queste fasi avevano già avuto termine, ho assistito solo alla preparazione della ricotta..)

Ora passiamo alla preparazione della ricotta vera e propria:

avevo scritto precedentemente che in seguito alla rottura e al riposo della cagliata si erano venute a creare due parti: la tuma, di cui ho appena parlato, e il siero (in pratica queste due parti si separano).
Quest'ultimo viene posto in un pentolone (che potete vedere in foto) e viene aggiunta una piccola percentuale di sale.
La caldaia sottostante viene accesa e  all'interno del pentolone si aggiunge una percentuale di latte fresco.
Durante la cottura del composto si mescola sempre con una canna (visibile in foto)



di tanto in tanto viene aggiunto del siero ricavato dalla tuma messa a colare ( le cui foto sono più in alto, all'inizio del post)....



Ad un certo punto si verrà a formare la ricotta, che man mano salirà in superficie..e sarà necessario mescolare il composto del pentolone tenendo il bastone nei bordi del recipiente per evitare di rovinarla...
è pronta quando si distaccherà dai bordi del pentolone creando una sorta di semicerchio.....

ora si elimina la schiuma che affiora in superficie e, con la schiumarola si preleva la ricotta (come in foto) e si sistema all'interno delle caratteristiche ciotole in terracotta....


si consuma così......calda calda, con il siero
molti versano all'interno della ricotta pezzetti di pane casareccio ma io la preferisco così naturale..altrimenti mi riempie subito..inutile dire quant'è buona..e quanto sono buone le scaccie preparate con questa ricotta e anche i dolci (cannoli cassatine ecc.....)
Trattandosi di una masseria di campagna il luogo è molto rustico.
Queste scodelle sono enormi....e la ricotta (anche senza pane) riempie tantissimo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!



Essendo avanzata parecchia ricotta, ciascuna delle persone presenti alla masseria ne ha potuto portare a casa una formetta da 500 gr circa (certe volte, quando ne avanza di più capita di portarne a casa anche 2\3 formette..questo dipende dal numero di persone presenti alla masseria che vanno a mangiare la ricotta..in quanto la quantità del pentolone è sempre uguale:))




domenica 24 marzo 2013

Le Cene di San Giuseppe






Qui nei paesini del ragusano vi è una tradizione legata alla ricorrenza di San Giuseppe, che cade il 19 Marzo...
Questa affonda le sue radici in periodi molto più antichi (pare che la sua origine si collochi nel XIX° secolo), ma ancora permane, sebbene con qualche differenza rispetto alle caratteristiche originarie.
Un tempo era consuetudine che i fedeli, per grazia ricevuta e talvolta anche solo per devozione, offrissero in voto a San Giuseppe  l'allestimento di una cena, alla cui realizzazione contribuiva la padrona di casa, la quale veniva aiutata da parenti e amici.
L'esposizione della cena avviene il venerdì e dura 3 giorni.
Ma la troviamo completa di tutte le pietanze il sabato mattina, quando vengono inseriti anche i cibi fritti (baccalà fritto e polpettine di riso, realizzate con del riso bollito e condito con pepe nero, pane grattugiato tostato, uova, abbondante caciocavallo ragusano grattugiato..quindi viene loro conferita la forma di polpette, si passano nell'impanatura e si friggono).
Una volta che la cena è arrivata al completo con l'inserimento dei cibi fritti, viene effettuata su di essa la benedizione da parte del prete (quindi il giorno che precede quello di San Giuseppe).

Molto suggestivo è il fatto che chi allestisce la cena sceglie tre persone tra quelle più povere del paese: un uomo di mezza età che rappresenta San Giuseppe, una ragazzina che rappresenta Maria e un bambino di 5\6 anni che rappresenta Gesù, chiamate in dialetto 'u Patri,'u Figghiu' e 'u Spiritu Santu.
Il giorno di San Giuseppe, quando la cena è allestita ormai da due giorni, coloro che rappresentano la Sacra Famiglia (le tre persone più povere appena citate) si prendono per mano, si recano in chiesa, ricevono la benedizione da parte del prete, quindi si incamminano, accompagnati dalla banda musicale del paese, nella casa in cui è stata allestita la cena.
Colui che rappresenta San Giuseppe porta con sè un bastone bianco (simbolo di purezza) recante una o due foglie d'arancio. Con questo bussa alla porta della casa dove è stata preparata la cena. Il padrone di casa domanda 'chi è?' e San Giuseppe risponde :'Sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo'. Ma il padrone di casa non apre.
La seconda volta il Santo bussa ancora, a richiesta del padrone di casa si presenta, ma ancora non viene fatto entrare.
La terza volta invece, dopo aver bussato e dopo essersi presentato, la porta gli viene aperta dal padrone di casa.
A questo punto coloro che rappresentano la Sacra Famiglia fanno il loro ingresso  e si mettono in meditazione di fronte alla cena, per la quale rivolgono una preghiera di ringraziamento.
Quindi si avvicina la padrona di casa la quale versa all'interno di una bacinella attraverso una caraffa dell'acqua e del vino (segno dell'unione a Gesù Cristo) e solo San Giuseppe si lava le mani.
A questo punto i tre Santi si siedono e consumano la cena.
La tradizione vuole che finchè costoro non hanno terminato, i padroni di casa con i parenti e gli amici (che li hanno aiutati per allestire la cena) non possono, a loro volta sedersi a tavola e mangiare.
Durante il pasto, la padrona di casa si deve prodigare a offrire ai ai tre Santi tutte le pietanze che ci sono.....
come prima cosa viene presentata loro la pasta condita con il 'sugo di San Giuseppe', un sugo particolarissimo e molto aromatico, composto da: salsa di pomodoro, cannella, chiodo di garofano, finocchietto selvatico e cardamomo. Non è prevista la presenza di carne nè all'interno della salsa nè in nessuna delle pietanze, in quanto la cena viene allestita nel periodo della Quaresima, durante il quale, anticamente , non si consumava carne.
Quando costoro hanno terminato, prima di andare via viene loro offerta una porzione di cibo nei piatti così da  portarlo a casa, compreso il pane di San Giuseppe (U' Ciddatu', di cui parlerò più avanti).
A questo punto i padroni di casa, con amici e parenti che hanno dato loro una mano per allestire la cena, si possono sedere e possono consumare quanto è rimasto!
Una volta terminato,  a queste stesse persone (come  si è anche fatto per i tre Santi) viene dato quanto è rimasto della cena, compresi dei pani, più piccoli rispetto a u' ciddatu, realizzati appositamente per loro e benedetti dal prete, per poterli ringraziare dell'aiuto fornito alla padrona di casa.
La cena dovrebbe essere aperta a tutti, nel senso che la porta di casa viene lasciata aperta e chi vuole può entrare e visitare queste tavolate.


La tavolata che accoglie queste pietanze è particolarissima e molto  suggestiva: su una coperta variopinta che fa da cornice alla tavolata si fissano delle arance amare e dei limoni (che rappresentano le avversità della vita). Al centro si sistema un piccolo altare sul quale viene posto un quadro raffigurante la Sacra Famiglia, davanti al quale viene accesa una lampada ad olio ('a lampa', che rappresenta la fede nella Divina Provvidenza) e ai lati viene posto il cosìdetto ' Grano di San Giuseppe', un tipo di frumento  che viene posto al buio a mollo nell'acqua per i 20 giorni che precedono l'allestimento della cena in modo che possa arrivare a germogliare. Tale elemento ha un valore simbolico, in quanto rappresenta la barba di San Giuseppe (quindi il volto del Santo).
In questa ricca tavolata possiamo trovare: le primizie di frutta (che troviamo in questi tempi in quanto in quelli più antichi non erano previste): uva e anguria, ad esempio, provenienti dall'estero.
Oltre queste troviamo (decisamente più in linea con la tradizione) le primizie della campagna quali: melanzane, peperoni, pomodori.....e fiori profumati quali la 'fresia e u' balicu' cioè la violaciocca.
L'elemento principale della tavola è il Pane di San Giuseppe, detto 'U Ciddatu' che presenta diverse e particolari forme simboliche, lavorato e decorato da mani abili ed esperte.
In conclusione le pietanze presenti nella cena sono: u' ciddatu (il pane precedentemente nominato), il baccalà fritto, le polpette di riso, scaccie di tutti i tipi (in particolare quelle con pomodoro e formaggio, con gli spinaci e con le verdure in genere), arancine, torte fatte in casa, torrone, mucatoli, biscotti di mandorle, frittate di asparagi e di fave fresche, la 'cubaita' o 'giuggiulena' realizzata con i semi di sesamo che presenta una forma di aquila e viene posta al centro della tavolata, i biscotti 'scaurati' la 'pagnuccata', i biscotti 'parigini', i biscotti al latte realizzati a macchina, il gelo di limone, i savoiardi, i 'macallè', torte al cioccolato raffiguranti immagini sacre o la chiesa del paese, caraffe di vino.

Carico diverse foto scattate in occasione dell'allestimento di queste cene
Questa è la prima, allestita nel paese in cui vivo io........




Queste foto sono di un'altra cena, tenutasi in un paese vicino


Ecco un'altra cena, sempre nello stesso paese, ma in un altro locale comunitario


Ecco le particolarità di alcuni piccoli pani (qui presentati da crudi), che allestiscono la tavolata







Ecco qualche foto di u' ciddatu


LE FOTO SI POSSONO TUTTE INGRANDIRE!!